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  • Immagine del redattoreRadio Colli Aniene

Brandelli

Il cielo iniziava a coprirsi: nuvole di varie dimensioni e dalle molteplici tonalità di grigio si assembravano minacciose, pronte a liberarsi del carico d’acqua da un momento all’altro.

A lasciar confondere gli occhi, la vista sembrava subire l’effetto di uno dei filtri retrò che vanno oggi tanto di moda. Se il lettore non pensasse che il recente isolamento ci abbia offuscato la mente, ci spingeremmo a dire che, in alcuni momenti, gli unici colori in grado di giungere ai sensi fossero il bianco e il nero. Immaginate, dunque, che tutto ciò che viene descritto di seguito sia stato visto attraverso queste lenti particolari.

Da quando è scattata l’emergenza “coronavirus”, un elemento paesaggistico ha, al contempo, attirato l’attenzione e alimentato l’insofferenza dei cittadini: la fila fuori dai negozi. No, non è mia intenzione discorrere dell’argomento, piuttosto vorrei condividere una riflessione nata dalla vista di una di queste interminabili code che caratterizzano, ormai, i marciapiedi del quartiere.

Tre donne, tre signore che vissero quel retrò quando era ancora presente, ordinatamente, una dietro l’altra, attendevano di poter entrare nella merceria situata sotto i portici di Viale Sacco e Vanzetti. Le loro gonne, le acconciature, la pazienza e la timida cordialità, espressa dalle loro spalle ricurve, mi hanno trasmesso un senso di inspiegabile affetto e tenerezza, che in un primo momento ho associato solo alla poesia della scena. Le ho superate con certe malinconia e nostalgia, come se allontanandomi stessi percorrendo non pochi metri, ma interi anni; moltissimi anni.

All’improvviso, ho capito: rivedevo in quelle figure il ricordo di una persona a me cara. La mia nonna sarta, cliente di quella stessa merceria; la nonna che tante volte si sarà trovata lì sulla soglia, con indosso una gonna cucita da lei, con i capelli perennemente fuori posto, le piccole spalle che chiedevano di poter entrare.

Non so ben spiegare i meccanismi attivatisi subito dopo: immagini del passato hanno iniziato a scorrere velocemente, quasi fossero diapositive inserite in un proiettore guasto. Eppure, riuscivo a vederle distintamente: non era un flusso incontrollato, bensì una raccolta selezionata (in maniera inconscia) di episodi. L’uno richiamava un altro, al punto che la strada lungo cui stavo camminando ha perso i connotati della realtà, per assumere quelli della metafora del tempo e della memoria.

Così, lì, seduto al tavolino del bar, non c’era più uno sconosciuto intento a leggere il giornale: c’era l’uomo che mi ha cresciuto per tanti anni, il marito della donna in merceria. Lo vedo circondato dai suoi vecchi colleghi ferrovieri, con cui era solito ritrovarsi ogni sabato, puntualissimo. Poi, una piccola bambina, dapprima nascosta tra le colonne, si avvicina al loro tavolo e si ferma davanti al signore, con aria di attesa. Sono io, che arrivo a reclamare il mio gelato settimanale: una scusa anche per sottrarmi alle sessioni di posa della nostra sarta personale.

E ancora, ancora, ancora…

Vi prego di leggere queste righe per quello che sono: brandelli di memoria, che lasciano in bocca il dolce sapore della madeleine di Proust. Non ci sono pregiudizi, né stereotipi, solo ricordi: piacevoli, deliziosi, pacatamente tristi ricordi.

Nonostante lo scorrere del tempo, nonostante abbia percorso migliaia di passi, il quartiere di cui parlo è rimasto quello di allora. Cambiano i protagonisti, gli attori, ma le dinamiche restano, immutate. È difficile notare, dall’interno, i processi di cambiamento, che pure vi sono: ma, forse, è sufficiente fare una passeggiata, uscire, in una mattinata uggiosa, con nessun altro intento se non quello di guardare. Filtro, o non, passato e presente si sovrapporranno con facilità nella vostra immaginazione, perché se è vero che il quartiere è un organismo vitale, che si evolve, cresce, matura, agli occhi di chi lo abita e lo vive, sarà per sempre casa.


Mi permetto di suggerire due o tre titoli da ascoltare mentre vi godete le vie di Colli Aniene:

- Bruce Springsteen, The river

- Joan Baez, Sweet Sir Galahad

- Tracy Chapman, Mountains o’ things

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